Esprimere o informare, questo è il (di)lemma

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Sapevate che con le 7.000 parole raccolte nel Dizionario di base della lingua italiana di De Mauro si può dire il 98% di quel che c’è da dire? E che se scriviamo non più di 25 parole per frase ci facciamo capire dall’80% dei lettori? E anche dai traduttori automatici, come Google Translate o Bing Translator?

Di questo – e molto altro – hanno parlato Gabriele Galati e Hellmut Riediger della Civica Scuola Interpreti e Traduttori di Milano in un incontro per BookCity, la manifestazione milanese appena conclusa. Da anni i due professori fanno ricerca insieme ai loro studenti intorno al rapporto tra traduzione e tecnologia.

Viene allora da chiedersi se bisogna rinunciare alle sfumature della lingua, alla sua varietà da un lato e precisione dall’altro, in nome di un’ampia diffusione del messaggio. Se è necessario scegliere tra parlare bene e parlare a tutti, o almeno a tanti, tra democrazia e stile.

Come sempre è fondamentale sapere ciò che si vuole fare. Non scriverò nello stesso modo una poesia o un saggio e un contenuto web che può essere visualizzato su cellulare all’altro capo del mondo (e, dicono le statistiche, scartato nel giro di 15 secondi se poco fruibile). La poesia o altre forme di scrittura con cui l’autore si esprime percorrono la lingua in tutto il suo spessore: scavano, ricercano, sperimentano, creano. Comunicano, certo, ma non hanno bisogno di un messaggio univoco. Inoltre la maggior parte dei lettori conosce la lingua e il contesto culturale d’orgine.

Se invece voglio vendere in rete un prodotto, magari anche tipico italiano, devo pensare che mi sto quasi automaticamente rivolgendo a un pubblico globale, di cui non so nulla e che non sa niente di me. Devo immaginare il mio testo trasposto in cirillico o in ideogrammi. Sono 81 infatti le lingue rappresentate, allo stato attuale, nello strumento di traduzione di Google (44 invece per Bing) e se gli si fornisce l’input giusto i traduttori automatici funzionano. E vogliono appunto la stessa materia prima di cui ho bisogno io: un messaggio semplice e chiaro, che risulti univocamente comprensibile a qualsiasi latitudine.

Grazie a un testo ottimizzato allo scopo (e al mezzo) è dunque possibile, per un messaggio di questo secondo tipo, raggiungere una diffusione potenzialmente molto ampia, tanto in termini di livello di istruzione che di lingua parlata dal destinatario.

A seconda della necessità un testo si muove quindi tra i due poli stilistici della comprensione (focus sul lettore) e dell’espressione (focus sull’autore); per così dire, dell’estensione orizzontale e verticale della lingua. Ma attenzione: non è “più bravo a scrivere” chi più si avvicina al secondo estremo. Si può scrivere bene anche in maniera semplice e rivolgendosi a tutti. Insomma, semplice è bello. E tutt’altro che facile.

Maria Peroggi
mperoggi@tralerighe.biz

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